IL TRIBUNALE MILITARE In sede di udienza preliminare del 21 luglio 1999 procedimento penale a carico di Jolivet Balon Michael Jean Francois, nato il 25 agosto 1977 a Sant Julien en Genevois (Francia) e residente a Ambilly (Francia), rue Ravier n. 3; domiciliato presso avv. Guido Conte, via Barbaroux n. 39, Torino, imputato del reato di "mancanza alla chiamata aggravata" (art. 151 c.p.m.p.) perche', chiamato alle armi mediante cartolina precetto ritualmente notificatogli al domicilio eletto, non si presentava, senza giusto motivo, al 72 Rgt. "Puglie" in Albenga (Savona), o ad altra autorita' militare, nei cinque giorni successivi al 16 settembre 1998, termine ultimo prefissatogli, restando arbitrariamente assente fino a tutt'oggi. Con l'aggravante della durata ultrasemestrale dell'assenza ex art. 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p. Ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente ordinanza; Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p., in relazione all'art. 151 c.p.m.p.; O s s e r v a Con atto del 15 aprile 1999 il pubblico ministero esercitava l'azione penale nei confronti dell'imputato in rubrica per il delitto militare di mancanza alla chiamata sopra descritto. All'odierna udienza preliminare, il pubblico ministero, contestava all'imputato la circostanza aggravante di cui all'art 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p. stante il fatto che l'assenza arbitraria dal reparto, a tutt'oggi perdurante, ha superato sei mesi di durata. Valutate le prove documentali contenute nel fascicolo di indagini, sentite le parti processuali, questo giudice ritenendo fondata l'ipotesi accusatoria, pur valutata l'azione penale sotto la veste di carattere processuale, dovrebbe emettere decreto di rinvio a giudizio avanti il Collegio. Pero', ad un piu' attento esame circa la correttezza della qualificazione giuridica operata oggi dal pubblico ministero, con l'attribuzione all'imputato di un elemento fattuale ulteriore, pur di carattere circostanziale, si dubita della legittimita' costituzionale della stessa. In altri termini, si dubita sia costituzionalmente corretto attributre ai militari che hanno commesso un reato di mancanza alla chiamata di durata superiore ai sei mesi la circostanza obbligatoria, oggettiva e speciale di cui all'art. 154, comma 1, n. 1) c.p.m.p. A parere di questo giudice non e' manifestamente infondato che quest'ultima norma sia contraria ai principi di uguaglianza e ai criteri di logica e ragionevolezza sottesi all'art. 3 della Costituzione cui deve sottostare anche il legislatore. Tutto cio' operando un raffronto con la disciplina relativa al delitto di rifiuto di prestare servizio militare di cui all'art. 14 della legge 8 luglio 1998 n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza). La circostanza aggravante in questione e' di carattere speciale giacche', come recita il primo comma dell'art. 154 c.p.m.p., e' prevista solo per le fattispecie delittuose di diserzione e di mancanza alla chiamata di cui alle sezioni seconda e terza del capo III, libro secondo, del codice penale militare di pace; non e' stata prevista dal legislatore che nel 1972 con legge n. 772 e che nel 1998 con la novella n. 230 ha disciplinato il regime della obiezione di coscienza del servizio militare. Trattasi, inoltre, di circostanza obbligatoria ad effetto speciale che, se contestata dal pubblico ministero (e come lo e' stato nel caso che ci occupa) comporta da parte del giudice una obbligatoria conoscenza, e, se ritenuta prevalente su altre eventuali circostanze attenuanti, anche un aumento della pena da un terzo alla meta'. Il fatto che sia obbligatoria lo si evince anche dalla descrizione del fatto circostanziale operata dal legislatore che usa l'espressione "la pena e' aumentata" mentre al n. 2 del medesimo comma, nell'illustrare la circostanza attenuante, usa la diversa espressione "la pena puo' essere diminuita". Il fatto che siffatta circostanza aggravante sia contestata ad un disertore od un mancante alla chiamata non rimane indifferente ovviamente nemmeno al giudice, dato che, una volta ricercati i valori concreti ed individuata nel caso concreto la sussistenza della medesima (ed essendo di carattere oggettivo e' immediatamente e documentalmente riscontrabile), comporta un conseguente obbligatorio giudizio quantomeno di comparazione con altre circostanze ex art. 69 c.p. Orbene, il legislatore che nel 1972 e che nel 1998 (con la legge 8 luglio 1998 n. 230) ha disciplinato anche il delitto del militare arruolato che rifiuta il servizio militare, allegando i particolari motivi di coscienza ritenuti meritevoli di tutela da parte del legislatore all'art. 1 medesime leggi, non ha previsto ipotesi circostanziali al fatto. Nessuna circostanza aggravante (e nemmeno attenuante) e' prevista all'art. 14, legge n. 230/1998 ed in altre norme della recente legge di riforma della obiezione di coscienza. Orbene, fra il delitto di mancanza alla chiamata e quello di rifiuto di prestare servizio militare di cui all'art. 14, legge n. 230/1998 esiste una perfetta analogia, cosi' come riconosciuto anche dalla stessa Corte costituzionale per esempio nelle sentenze nn. 409/1989, 343/1993, 422/1993. L'interesse leso tutelato dalle due fattispecie penali e' sempre militare ed e' identico: l'interesse ad una regolare incorporazione di soggetti obbligati al servizio di leva. Le modalita' oggettive di comportamento sono analoghe; trattasi sempre di fattispecie a forma libera: il rifiuto totale di prestare il servizio obbligatorio con comportamenti commissivi (es. il rifiuto di indossare la divisa) od omissivi (es. il non presentarsi al reparto di appartenenza di cui al precetto); e' noto infatti, che chi e' imputato di mancanza alla chiamata o del delitto di cui all'art. 14, legge n. 230/1998 adotta i medesimi comportamenti commissivi od omissivi non distinguendosi se non dalla adduzione dei motivi di coscienza al rifiuto stesso. L'emento materiale del delitto di cui alla nuova legge sulla obiezione di coscienza e' dato dalla manifestazione di volonta' attinente alla inottemperanza dell'obbligo di leva facendo riferimento ai motivi di coscienza riconosciuti meritevoli di particolare tutela dal legislatore e di cui all'art. 1 medesima legge. In altri termini, quando il militare manifesti altri motivi rispetto a quelli codificati (es. privati), oppure non alleghi alcuna motivazione (come nel caso dell'odierno imputato), ricorrera' l'altro reato militare e, cioe' quello di mancanza alla chiamata oggi contestato. I due delitti sono sanzionati in modo identico: reclusione da sei mesi a due anni. Devesi ulteriormente tenere presente che i soggetti attivi dei due delitti militari in questione sono identici: l'obiettore totale sia che manifesti le ragioni di cui all'art. 1, legge n. 230/1998, sia che ne manifesti altre, oppure nessuna, e' sempre un iscritto di leva in attesa di incorporazione presso un reparto. Ora, una identica situazione oggettiva e soggettiva, quella del militare che rifiuta di prestare il servizio militare di leva per le ragioni di cui all'art. 1, legge n. 230/1998, oppure altre, oppure nessuna, viene trattata diversamente ed incongruamente per quanto attiene la attribuibilita' di elementi accidentali, accessori al reato; elementi che incidono, come nel caso che ci occupa, sulla gravita' del reato e, quindi, sulla sanzione da irrogare, comportando cioe' una non indifferente modificazione della sanzione che, invero edittalmente e' identica. Si ritiene che nel caso in questione il legislatore non abbia seguito i criteri di parita' di trattamento e di ragionevolezza cui deve sottostare la sua attivita'. L'uso sproporzionato ed ingiustificabile della discrezionalita' legislativa e' provato anche dal fatto che il mancante alla chiamata che compie una assenza arbitraria dal reparto per poco piu' di sei mesi (e, quindi, un rifiuto al servizio militare obbligatorio limitato nel tempo) si vede attribuita la circostanza aggravante obbligatoria ad effetto speciale di cui all'art. 154, comma 1, n. 1 c.p.m.p. mentre, il militare che rifiuta il servizio militare di leva per i motivi di cui all'art. 1, legge n. 230/1998 (motivi che, poi, data la loro incidenza nell'intimo non possano essere provati circa la loro reale sussistenza) rispondera' per il suo comportamento solo dell'identica sanzione penale base. E' ovvio, a questo punto, che si lascia al militare piu' o meno informato e smaliziato che non vuole adempiere agli obblighi costituzionali di difesa della patria, di optare per una o l'altra forma di rifiuto al servizio militare a seconda della maggiore o meno grave incidenza della sanzione penale. Per cui alla fin fine una circostanza aggravante definita obbligatoria puo' divenire in pratica solo eventuale. La questione di costituzionalita' prospettata e' rilevante dato che se accolta comporterebbe a questo giudice l'onere di emettre decreto di rinvio a giudizio solo per il reato contestato privo di elemento circostanziale aggravante e far sottoporre al vaglio dibattimentale l'imputato per il delitto militare semplice.